Killed by Google: i progetti geniali (e falliti) che non dovevano morire

Redazione

Ogni volta che Google chiude un progetto, Internet si divide tra malinconia e ironia. C’è persino un archivio dedicato — Killed by Google — che tiene il conto delle sue “vittime”: prodotti lanciati con entusiasmo e poi sepolti in silenzio. Un museo dell’innovazione temporanea, dove si scopre che anche i giganti sbagliano (molto, e spesso).

Google Reader – la fine dell’informazione intelligente

Nato nel 2005, Google Reader era la miglior app per leggere notizie e blog. Nel 2013 Google lo uccise “per scarso utilizzo”. In realtà voleva spingere gli utenti su Google+, il social che a sua volta sarebbe fallito pochi anni dopo. Reader resta uno dei simboli del tradimento digitale: quando qualcosa funziona troppo bene, viene cancellato.

Google+ – il social network senza anima

Doveva sfidare Facebook. Invece Google+ finì per diventare un deserto di post aziendali e profili fantasma. Chi lo ricorda, lo fa con tenerezza e un pizzico di trauma. Nel 2019, dopo una falla di sicurezza, Google decise di staccare la spina. Un caso da manuale: il potere tecnologico non basta a costruire una comunità.

Il logo di Google+

Google Stadia – il sogno del gaming nel cloud

Con Stadia, Google prometteva di eliminare le console e portare i videogiochi nel cloud. Ma i titoli esclusivi erano pochi, la comunicazione confusa, e la fiducia minima. Nel 2023, chiusura definitiva. Gli utenti sono stati rimborsati, ma il concetto — il Netflix dei videogiochi — è rimasto un’occasione mancata.

Il controller di Google Stadia

Google Glass – il futuro arrivato troppo presto

Gli occhiali AR di Google dovevano rivoluzionare il modo di vedere il mondo. Invece, nel 2013, divennero un simbolo di eccesso tecnologico: troppo costosi, troppo invasivi, troppo strani. Furono ritirati, poi riadattati all’industria. Oggi vengono ricordati come il Black Mirror reale della Silicon Valley.

Google Wave – la genialità che nessuno capì

Nel 2009 Google presentò Wave, un esperimento che univa email, chat e collaborazione in tempo reale. Era avanti di dieci anni, ma senza una direzione chiara. Fu chiuso nel 2012, ma molte sue funzioni oggi vivono in Gmail e Docs. Un fallimento che ha generato mezza produttività moderna.

Google Hangouts – quando la confusione uccide

Hangouts doveva unire tutto: chat, video, chiamate. Peccato che Google avesse già troppe app simili (Talk, Allo, Duo, Chat, Meet…). La chiusura nel 2022 è stata quasi liberatoria. Il problema non era la tecnologia, ma la bulimia progettuale.

Google Hangouts spendo nel 2020

Google Allo – l’AI prima dell’AI

Nel 2016 nasce Allo, app di messaggistica con risposte automatiche e suggerimenti smart. Era il primo esperimento di chat con intelligenza artificiale integrata, ma non riuscì a emergere. Nel 2019 venne chiusa, lasciando un’eco nel futuro: oggi i suoi frammenti vivono in Assistant e Messages.

Picasa – l’unico addio felice

Non tutti i progetti Google chiusi finiscono male. Picasa, storico software per gestire foto, è stato assorbito in Google Photos, diventato un successo mondiale. È la prova che non tutto ciò che muore scompare: a volte si trasforma.

Picasa è diventato Google Foto

Inbox – l’email che amavano tutti

Inbox reinventava Gmail con intelligenza e design pulito. Era fluido, organizzato, con promemoria e raggruppamenti automatici. Poi Google lo chiuse “per semplificare l’esperienza utente”. Traduzione: Gmail doveva restare il prodotto principale. Molti utenti non l’hanno mai perdonata per questo.

Perché Google uccide (quasi) tutto

Dietro ogni chiusura non c’è solo fallimento, ma strategia. Google sperimenta in pubblico, lascia maturare le idee, e poi le ingloba in prodotti più grandi. È un modello di innovazione brutale ma efficace — simile a un’evoluzione darwiniana del software. Eppure, ogni volta che un progetto scompare, resta quella sensazione: l’idea giusta, al momento sbagliato.

Per altre analisi digitali, leggi anche l’articolo su  X Premium conviene davvero? Cosa rivelano i dati su 18 milioni di post o scopri ChatGPT 100 Chats: l’università (e non solo) entra in modalità AI, il fronte più acceso dell’innovazione tech contemporanea.

Condividi articolo
Nessun commento

Lascia un commento