Vibe Coding: la rivoluzione del “coding a sensazioni”

Redazione

Sembra assurdo, ma sta accadendo. Il concetto di vibe coding – letteralmente “programmare a sensazione” – si sta diffondendo tra sviluppatori, artisti digitali e creativi. Non si tratta di magia o suggestione, ma dell’evoluzione naturale del rapporto tra esseri umani e intelligenza artificiale: tu metti l’intenzione, l’IA scrive il codice.

Il codice lo senti, non lo pensi

Nato in ambienti creativi e hacker house di San Francisco, il vibe coding sfrutta modelli di linguaggio come GPT‑4, Gemini o Claude per tradurre prompt vaghi (“voglio un sito che faccia venire voglia di mare”) in codice coerente, fluido, funzionante. Un po’ come suonare uno strumento invece di leggere uno spartito.
L’approccio privilegia l’intuizione, e sostituisce rigide istruzioni con “mood”, emozioni, riferimenti culturali o esperienze sensoriali.

Esempio

Con questo brevissimo comando, ChatGPT ha generato una pagina web funzionante e compatibile con tutti i tipi di dispositivo:

crea una landing page per una gelateria chiamata "i gelati nostri" e che faccia venire immediatamente voglia di un gelato
esempio di vibe coding con ChatGPT

Immagina cosa può nascere da una conversazione più articolata.

Dallo sviluppo al design conversazionale

Il vibe coding è la naturale evoluzione del no-code, del prompt engineering e dell’approccio conversazionale alle interfacce. Ma va oltre. Oggi si utilizzano strumenti come:

  • MagickML per creare flussi interattivi con IA tramite grafi;
  • Framer per generare layout web partendo da richieste testuali;
  • Cursor per sviluppare app intere dentro un IDE AI-native.

Alcuni sviluppatori lo chiamano “coding per poeti”, perché richiede meno sintassi e più feeling. Il risultato è un codice spesso più leggibile, coerente e pronto all’uso, specialmente per interfacce utente, visualizzazioni o esperienze immersive.

Cursor, screenshot
Cursor conferisce dei “superpoteri” agli sviluppatori ma richiede conoscenze di base

Ma funziona davvero?

La risposta breve: dipende.

Funziona per prototipi, per sperimentazioni rapide, per chi vuole costruire senza “pensare in codice”.
Non è ancora pronto per backend enterprise, sistemi mission-critical o logiche complesse.
Ma nel mondo delle interfacce emozionali, dei giochi, dell’arte generativa, il vibe coding è già il presente.

Su giungla.net abbiamo già esplorato il concetto di cloni digitali, e come le IA siano sempre più in grado di imitare il nostro intuito. Ora stanno anche scrivendo al nostro posto.

E poi?

Nel prossimo futuro, ci aspettiamo:

  • Sistemi che leggono il nostro tono di voce o espressione facciale per capire il nostro stato emotivo e adattare il codice generato;
  • Interfacce che si costruiscono da sole ascoltando un discorso;
  • Designer e dev che lavorano più con IA che con colleghi umani.

Il vibe coding è più di una tecnica: è una filosofia.
Programmare come si compone musica.
Non è più scrivere codice.
È sentirlo.

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